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I messaggi Whatsapp sono una prova nel processo? Prima devi sapere questo

Le chat di WhatsApp non hanno sempre valore legale. Tuttavia, possono essere usate come prove processuali.

La giurisprudenza, cioè la scienza del diritto, ormai ritiene che i messaggi WhatsApp hanno valore legale: possono cioè entrare in un processo e costituire prova dei diritti che sono stati lesi lesi.

Da un po’ di tempo si è limitato l’utilizzo della lettera scritta con inchiostro su carta. Al suo posto sta prendendo piede l’uso delle chat. Così si pone un grosso problema e, cioè, il problema della dimostrazione del contenuto all’interno delle conversazioni. In parole povere, il problema principale che è sorto con l’avvento delle chat è capire come citare in giudizio i messaggi scambiati su WhatsApp.

Sarebbe il comportamento più semplice e, soprattutto indicato, quello grazie al quale la Cancelleria del giudice che deve celebrare il processo, acquisisse il device in questione. In questo modo, avvalendosi dell’aiuto di tecnici, si potrebbe accertare l’attendibilità della prova in questione. Con i tempi lunghi dei processi, crediamo che sarebbero poche, se non rare, le persone disposte a lasciare il proprio telefono, per tanto tempo, in mano a degli sconosciuti.

C’è anche un altro problema da non sottovalutare, segnatamente per quanto riguarda il processo civile. In questo tipo di processo le prove sono solo quelle indicate dalla legge. E, siccome, il codice di procedura civile, non è aggiornato alle nuove tecnologie, queste ultime sono equiparate a “riproduzioni meccaniche” e, come tali, sono soggette a manomissioni di ogni sorta.

Sono, quindi, per la legge prove documentali solo in mancanza di contestazione da parte della parte avversa. Se tale contestazione motivata, infonde un qualsiasi sospetto nel giudice, questi documenti perdono ogni valore. Per evitare che le controparti ricorrano spesso a questo escamotage, per depauperare questo tipo di prove, bisogna chiarire le motivazioni per cui il documento debba essere dichiarato non attendibile.

Ecco come lo screenshot WhatsApp è diventato una prova nel processo civile

Non sono poche le sentenze che gli riconoscono valore di prova in un processo civile e penale. C’è un esempio molto vicino temporalmente a noi. Il Tribunale di Roma, vagliando lo scambio di messaggi tra un datore di lavoro e un suo dipendente, ha ritenuto che si potesse risalire a un rapporto di lavoro in nero in essere. I messaggi in questioni facevano risalire agli elementi tipici di subordinazione, continuità della prestazione, obbligo di presenza e corresponsione di una retribuzione fissa. Ma non è il solo caso giudiziario. Le chat oltre a dimostrare l’esistenza di un rapporto contrattuale, possono documentare l’esistenza o meno di un debito, di un prestito, etc.

Ma in che modo si acquisisce una chat WhatsApp in una causa o in un processo?

Ovviamente non si può andare in udienza e mostrare il display al giudice come si fa quando si mostra un video o una foto ad un amico. Infatti, le prove dovrebbero rimanere agli atti e, come procedura vuole, bisognerebbe che la Cancelleria acquisisca lo smartphone e lo consegni ad un periodo affinché lo esamini. Anche se è una soluzione dispendiosa, il giudice può ordinare tale soluzione, in special modo in situazioni come quelle penali.

D’altro canto si potrebbero acquisire gli screenshot e allegarli ai documenti istruttori del processo sperando non sussistano i principi di non attendibilità e di non autenticità delle prove che abbiamo giò preso in esame.

C’è una strada nel mezzo che si potrebbe percorrere

Bisognerebbe procurarsi una perizia giurata di parte, redatta da un perito tecnico iscritto negli elenchi dei consulenti del tribunale. Nella perizia timbrata dal perito, si attesterà l’autenticità del contenuto delle chat e trascriverà eventuali messaggi vocali. In questo modo non si dovrà acquisire lo smartphone e sarebbe una prova più certa rispetto allo screenshot acquisito.

Anche la Cassazione si è espressa in merito.

Con una recente sentenza la Cassazione ha stabilito che i messaggi WhatsApp conservati nella memoria dello smartphone hanno natura di documenti. In quanto tali, sono acquisibili e utilizzabili nell’ambito di un procedimento penale, mediante semplice riproduzione fotografica.

Il testo del messaggio dovrà essere fotografato dalla Polizia Giudiziaria sul display del dispositivo cellulare. L’agente che effettua la riproduzione, asserisce con fermezza la corrispondenza all’originale della fotografia.

Ai fini probatori non è necessario estrarre i messaggi WhatsApp mediante la procedura della copia forense. E’ sufficiente che la persona offesa faccia fotografare da un agente di Polizia Giudiziaria, il messaggio WhatsApp dal display del cellulare e scarichi sul proprio personal computer i messaggi WhatsApp ricevuti.

La riproduzione fotografica di un messaggio WhatsApp, però, non da contezza del mittente né del destinatario. Inoltre, non da neanche la certezza del contenuto del messaggio. Tutto ciò è ancora oggetto di feroci critiche!